Sabato sera. Noi spagnoli seguiamo dalla solitudine delle nostre case (nel migliore dei casi) l'apparizione del Presidente del Governo. E improvvisamente, alcune parole si conficcano in noi come pugnali nel cuore: “il peggio deve ancora venire, ci aspettano giorni durissimi (…) aiutiamoci tutti, perché uniti, e solo uniti, lo supereremo”.
Quella frase, quelle parole, ci anticipano quello che verrà. Sono come un mare che si ritira davanti ai nostri occhi, che anticipa un'onda, uno tsunami, che ci colpirà duramente e ci devasterà. E per quanto suoni adesso la sirena, è già troppo tardi per evitare l'impatto sulla costa, Non ci resta che attendere il suo arrivo e sperare che lo faccia con la minor forza possibile..
Come ci si prepara, come individuo, come società, per ciò per cui nessuno è preparato? Intendiamoci, stiamo parlando di preparazione psicologica, non di anticipazione degli eventi (che verranno analizzati in futuro).
Stamattina arrivano da noi le prime immagini dei padiglioni IFEMA pieni di letti, ancora vuoto, in attesa dell'arrivo dei soldati feriti. Questa è guerra.
I pavimenti sembrano freddi, così come la solitudine di chi combatte questa battaglia.
Nella società avanzata e digitale in cui abbiamo dovuto vivere, vediamo ancora una volta fotografie non molto diverse da quelle di un secolo fa. Aspettiamo ancora una volta la cronaca quotidiana della battaglia, il resoconto di guerra, fiduciosi che le nostre truppe, con pochissime risorse, siano riuscite oggi a far ritirare il nemico.
E come un tempo, le sarte cuciono mentre le persone costruiscono 'armi' (attraverso stampanti 3D). Si cercano soldati tra coloro che prima erano civili, migliaia di volontari 'veterani' e la prima linea di battaglia si aggrappa a piccole vittorie per sollevare il morale delle sue truppe.
Ci chiedono di prepararci per giorni molto duri. In questi tempi in cui molti credono di essere Churchill, Come ci si prepara a ciò per cui nessuno è preparato?
Con la sola forza... dei nostri applausi.
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